Cara Paola... - lettera aperta a Paola Egonu - di C. A. Cova

 



Cara Paola,

ti scrivo usando il tu, come si fa con chi si conosce bene, anche se so che tu non puoi avere la minima idea di chi io sia. 

Ma nel mondo della pallavolo tra atleti ed ex atleti si usa spesso il modo colloquiale diretto.

Mi ero ripromesso di non commentare la “tua vicenda” ma, come spesso mi succede, alla fine la “tentazione” vince su ciò che mi suggerisce la “razionalità”.

Il mio obiettivo? Cercare nel mio piccolo di alleggerire un po’ l’atmosfera che si è creata e che sta portando a reazioni e contestualizzazioni che credo anche tu (soprattutto a freddo) non vorresti.

Premettevo che tu non puoi conoscermi, per cui credo sia necessario presentarmi brevemente. Sono un ex giocatore, anche se paragonare il mio livello al tuo rasenta la blasfemia. Non avevo le tue qualità e, soprattutto fisicamente, sparivo di fronte alla stragrande maggioranza degli atleti di serie A. Dovevo lavorare molto più di compagni e avversari per provare parzialmente a compensare questo enorme gap atletico. In pratica ho dovuto affrontare quotidianamente lo scetticismo ed il pregiudizio che spingeva a considerare un atleta vicino al metro e 77 totalmente inadatto alla massima divisione, se non aveva le qualità tecniche di Kim, De Giorgi, Anastasi o Kantor. Come riserva, raramente avevo la possibilità di far vedere quel (poco) che sapevo fare, diventando così oggetto dello scetticismo della critica e talvolta oggetto di scherno da parte di tifoserie avversarie… che spesso accentuavano i toni, “sfruttando” anche la mia incipiente calvizie (che mi faceva sembrare “vecchio” anche a vent’anni), e il mio aspetto massiccio, più da rugbista che da pallavolista.

Capisco quindi perfettamente quanto possa essere duro scrollare le spalle e far finta di niente di fronte a cattiverie e critiche (e più si è in alto, come nel tuo caso, e più queste ultime arrivano inevitabilmente pesanti, avendo tu alzato tanto l’asticella delle aspettative). Però temo che, oggi come oggi, purtroppo, ci si trovi di fronte ad un qualcosa che pare inevitabile… e questo in qualsiasi parte del mondo. Anche se fanno male tanto le cattiverie quanto le critiche, tieni presente che spesso hanno matrice molto diversa. Le cattiverie sono gratuite e frutto di pensieri di persone deviate mentalmente. Le critiche nascono invece spesso da chi crede in noi e da chi ha grandi aspettative su di noi. 

A me faceva spesso male il giudizio che tu difficilmente avrai ricevuto “discreta prestazione, ha fatto in pieno il suo”. Come se il mio massimo potesse portarmi nelle migliori delle ipotesi ad una discreta prestazione… e solo successivamente ho maturato che forse era effettivamente così, soprattutto a livello di top nazionale. 

Ma torniamo ai primi, ossia a chi ci denigra per il gusto di farlo. Siamo sicuri di volerla dare vinta a chi ci vuole male? A quelli che oggi chiamano haters? Questi esseri ci sono sempre stati (anche se individuati con nomi diversi… ma spesso associati al concetto di invidiosi) e temo che anche nel prossimo futuro attaccheranno i loro bersagli non appena vedranno che le cose non gireranno al meglio… preferendo di norma utilizzare le parole più meschine e quelle che individuate per fare più male.

Aggiungo una mia ipotesi personale: probabilmente questo tuo attuale “malessere “può essere inconsciamente acuito dal vedere che alcune cose che prima ti riuscivano con estrema facilità, ultimamente funzionano a fasi alterne e con molta più fatica. Questo probabilmente porta al dispiacere per non riuscire a dare il contributo voluto alla squadra e forse, sempre inconsciamente, anche per il tuo rendimento personale. 

In questo caso, io posso parlare poco della mia esperienza personale. Io non sono mai stato un numero uno… anzi, la mia qualità migliore era quella che il mio allenatore negli anni di settore giovanile e della serie A1 esprimeva spesso con questi termini molto coloriti “Tu non dovresti neanche stare qui per come sei (intendendo il mio fisico da persona “normale”) ma non so il perché e il percome (e qui ho edulcorato la sua espressione utilizzata) ma, con te in campo, la squadra gira e i compagni rendono individualmente al loro meglio”. Quindi la mia qualità migliore era quella in assoluto meno visibile, se non agli occhi di alcuni compagni, allenatori e addetti ai lavori. 

Ho avuto però la fortuna di vincere tantissimo a livello di club… e parlo di fortuna non a caso. Ritengo infatti sia dovuto soprattutto a quello (oltre che alle scelte di alcuni dirigenti e allenatori), se mi sono trovato a giocare nella squadra per cui avevo sempre fatto il tifo, proprio nel momento in cui era considerata fra le prime 2 o 3 a livello mondiale (quindi ancora un grazie enorme ai miei compagni “titolari”, allenatori e dirigenti).

Anch’io ho sempre amato e desiderato spasmodicamente la maglia azzurra come ti ho sentito confermare in modo assolutamente partecipato anche a te… ma non ho mai avuto la fortuna di indossarne una, neanche a livello giovanile. 

Per anni sono stato considerato fra i migliori palleggiatori in assoluto della mia età e, nonostante i tanti titoli nazionali vinti e relativi riconoscimenti individuali, non mi hanno mai potuto chiamare per una selezione nazionale o regionale. Allora vigeva il famigerato “piano altezza” che permetteva la convocazione solo di chi aveva (appunto) un’altezza ben superiore alla mia.

Pertanto credo che nel mio caso si possa parlare di innamoramento verso la maglia azzurra non corrisposto.  Ma, nonostante ciò, mai sopito. Forse, essendo stata tanto agognata e mai raggiunta, mai e poi mai avrei permesso che una qualsiasi cattiveria mi allontanasse neanche un solo istante da essa… anche se avessi dovuto impegnarmi al massimo anche per rendere orgoglioso dei risultati della nostra squadra, chi mi aveva criticato, scartato o denigrato.

Potrei essere anche più prolisso ma voglio concludere con un aneddoto personale che spero venga accolto solo come un “fatto curioso”.

Conscio dei miei limiti e ipotizzando che la pallavolo difficilmente mi avrebbe dato da vivere, mi sono laureato mentre ancora giocavo e allenavo. Successivamente, ho cominciato praticamente subito a lavorare per una grande società internazionale. Nei primi anni, ho trascorso lunghi periodi all’estero, facendo parte di gruppi e strutture dove si parlava esclusivamente inglese. Difficile quindi riconoscere la nazionalità delle persone se questa non veniva direttamente esplicitata in sede di presentazione. La pallavolo e la relativa voglia di non dare possibilità a nessuno di muovermi appunti da sommare al giudizio relativo ai miei mezzi atletici, mi hanno spinto a diventare ancora più meticoloso e puntiglioso di quello che già ero. E questo me lo sono portato dietro anche successivamente. Pertanto, nei gruppi di lavoro ero sempre il primo a presentarmi alla mattina e a ripresentarmi dopo i vari coffee break o pause pranzo, e contemporaneamente ero anche tra i più attenti a rispettare i tempi degli impegni fissati e gli orari dell’agenda di lavoro. 

Per via di queste caratteristiche, quando arrivava qualcuno di nuovo, questi si meravigliava spesso che io fossi italiano e non esitava a farlo notare, con accezione, a suo modo di vedere, positiva.

Avevo premesso che questo voleva essere più un aneddoto per sdrammatizzare, e così non posso fare a meno di sottolineare che le stesse parole che qualche idiota ha usato con te nello stupido tentativo di denigrarti (e temo sia successo lo stesso con qualche tua compagna di squadra) talvolta sono usate con accezione positiva. I cliché non sono mai belli, ma credo che le risposte migliori vengono dal dare loro un peso quanto più relativo possibile.

Concludendo… se in questo momento non riesci a scuotere le spalle e a fregartene, di fronte a certi episodi o se vivi una fase di disagio per una somma di situazioni, prova ad immaginare alla rabbia che proverebbero i tuoi detrattori nel rivederti di nuovo tra le prime al mondo in una nazionale bella come quella di questi ultimi anni. La mia speranza è che tu metta innanzitutto a tacere tutto quello che si sta creando intorno a te e, senza troppo clamore, tu possa tornare a lavorare subito con la nostra nazionale con più grinta e cattiveria di prima, immaginando la possibile faccia attonita di chi ti vuole male e di chi è riuscito al massimo a farti vacillare, ma non a farti cadere.

Augurandoti ogni miglior cosa,

Carlo Alberto Cova

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